Fronteggiare gli atti di bullismo dovrebbe essere la missione di ogni adulto che svolga un qualsiasi ruolo educativo.
La ricetta esiste solo se si guarda il fenomeno da vicino, se si cerca di leggerlo e di decifrarne i suoi messaggi scomposti. La si ottiene solo implicandoci, noi adulti, in quelle condizioni che trasformano in bulli bambini e ragazzi!
Vediamo intanto che cos'è il bullismo
Il bullismo è l'insieme dei comportamenti aggressivi di bambini e ragazzi attraverso i quali si abusa dei propri coetanei.
Prepotenze, sopraffazione, insulti, atti di violenza fisica e verbale che hanno la caratteristica di essere intenzionali, duraturi e ripetitivi nel tempo.
Chi subisce atti di bullismo si trova in una dinamica relazionale che lo esclude e lo emargina dal gruppo.
Il bullismo è la forma perversa, negativa ed esasperata della competizione, perciò vale la regola narcisistica e cinica del più forte sopra gli altri e a discapito degli altri.
Il ragazzo o il bambino che fa il bullo, animato da un bisogno di essere accettato nel gruppo, ma insicuro e privo di mezzi per aprirsi al confronto, mette in atto una serie di comportamenti prevaricatori. Questo è il suo unico modo, maldestro, di affermare se stesso e di non cadere vittima (già, vittima, anche lui) della sua più grande paura: quella di "essere perdente". Per di più perdente solitario.
La psicoanalisi ci insegna che nell'aggredire il diverso (l'omosessuale, lo straniero, il grasso, il secchione, il timido, il disabile) in realtà si attacca, con la stessa determinazione, una parte di sé, debole e intollerabile, che va umiliata ed eliminata.
Il disagio del bullo consiste nella profonda fragilità strutturale e nell'insicurezza di chi non ha trovato un posto, di chi non è stato rispettato, riconosciuto, apprezzato e stimato come persona capace. Chi è abbandonato o chi invece è troppo controllato.
Interrogandosi sulle cause del bullismo ci si accorge in maniera lampante, che il bambino/ragazzo, cosiddetto bullo, segue un copione familiare e sociale non collaborativo e non cooperativo. È figlio di un contesto in cui vale lo scontro, e non il confronto, in cui il più forte è meglio degli altri. Figlio di un discorso sociale e familiare dove si distinguono i perdenti dai vincenti, dove per sopravvivere si ricorre alla sopraffazione, alla calunnia, alla furbizia, al cinismo, all'arroganza.
Non gridiamo allo scandalo davanti al l'agire del bullo ma facciamolo invece davanti al contesto che rende tutto questo possibile e di cui tutti facciamo parte. Dovremmo interrogarci su quali siano i valori e i messaggi che offriamo ai ragazzi.
Apriamo gli occhi sulla sofferenza del bullizzato che è una ferita dell'anima, non solo fisica. E una ferita che resta dentro con esiti dannosi per l'autostima. Impariamo a leggere ed ascoltare i segnali che ci vengono inviati: dall'isolamento o dal non voler andare a scuola, dall'insonnia, dal mal di testa, dall'inappetenza agli atti di autolesionismo.
Chi studiava e ora non lo fa più, chi era allegro e ora non lo è più, chi mostra un certo atteggiamento e ora ne ha un altro. Questi sono segnali a cui prestare attenzione perché la chiara denuncia può arrivare tardi o non arrivare affatto.
Contrastare il bullismo è un atto di responsabilità di ciascuno, del gruppo e della collettività, a casa, a scuola e ovunque sia possibile. Occorre un'azione combinata che metta fine alla sofferenza di chi subisce, che disinneschi il comportamento violento di chi fa il bullo e che solleciti la risposta attiva del gruppo dei pari.
Come intervenire?
Farsi testimoni del dinamismo e della varietà delle relazioni, dimostrando che ogni legame è il terreno in cui si può lavorare insieme, per il proprio e l'altrui vantaggio; accettando il confronto, il conflitto e, quando arriva, anche la sconfitta. La relazione è un lavoro di gruppo che, nell'accordo, moltiplica i talenti.
Mettere a margine l'idea delle sanzioni o delle punizioni. Esse parlano la lingua dell'esclusione e dell'emarginazione, pertanto non fanno che rafforzare e confermare lo stesso meccanismo maldestro che si vuole evitare. La punizione non è efficace perché privativa e non offre gli strumenti per mettere in atto un cambiamento positivo.
Favorire interventi che educhino al rispetto, all'inclusione e che sappiano stimolare l'empatia, favorire la regolazione delle emozioni e della rabbia. Allora avremo un clima collaborativo dove per affermarsi non ci sarà affatto bisogno di imporsi con atti violenti o vessatori.
Lasciare ai bambini e ai ragazzi lo spazio per misurare le loro risorse in mezzo agli altri, affinché imparino da sé a sottrarsi al dominio del più forte e a vivere nel gruppo senza essere per forza capo o gregario. Essere presenti, sì, e lasciando loro la possibilità di giocare in proprio nella loro palestra di vita. Mai esagerare nel predisporre per loro ambienti iperprotetti e sicuri, mai fare al posto loro, neppure nei piccoli litigi tra i coetanei. Se abbiamo fiducia se la sapranno cavare!
Laddove il bullo primeggia eliminando l'altro a colpi bassi, dobbiamo invece affermare che per una buona riuscita è importante competere, proprio nel senso originario del termine: competere deriva dal latino "cum" (che vuol dire "con", "insieme") e "petere" (che vuol dire "andare verso"). Dunque è importante competere nel senso di andare insieme verso qualcosa, convergere verso un medesimo punto o obiettivo.
Eccola perciò la ricetta per fronteggiare il bullismo: "andare insieme", con passo attento e coraggioso!
Ciascuno faccia ora la propria parte, secondo il proprio stile!
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