- Sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante.
- Ah sì? E cosa ha capito?
- Che vola solo chi osa farlo.
(Luis Sepulveda)
Quant’è difficile prendere decisioni!
Talvolta si arretra, si esita, si rinvia, si evita.
Non di rado vengo consultata a partire dalla condizione di chi si sente indeciso o bloccato davanti alle scelte importanti: ad esempio la possibilità di un nuovo lavoro, la strada da intraprendere dopo la laurea, il matrimonio o qualsiasi altra vicissitudine che segna il passaggio simbolico tra il vecchio e il nuovo. Quando la situazione attuale è percepita di fondamentale importanza per gli sviluppi successivi, il soggetto precipita in una situazione a dir poco stagnante. Anziché avanzare si ferma inibito, anziché seguire le spinte vitali e propositive, prevale un senso assoluto di stasi.
L’inibizione prende per ciascuno forme differenti e diversamente gravi.
L’abulia, ovvero l'inerzia, l’indebolimento della volontà nell’intraprendere qualsiasi iniziativa, può presentarsi come un senso vago di indolenza e irresolutezza o come una vera e propria impossibilità segnata da un persistente senso di vuoto. Ci si lamenta di sentirsi apatici e di non provare interesse o entusiasmo. Più l’incapacità o la difficoltà di sentirsi partecipi sono prolungate e incisive nel quotidiano, più ci si avvicina al territorio degli stati d’ansia, di depressione, di panico e a un senso di paralisi fisica (“non ci riesco, è più forte di me”).
Bloccati affaticati e stanchi, anche, a causa del dispendio di una notevole energia psichica che la rinuncia comporta.
La psicoanalisi insegna che l’inibizione è un segnale, una spia vera e propria che indica l’esistenza di un desiderio sottostante, occultato, su cui il soggetto ha ceduto a favore di una strada già battuta, conosciuta e familiare ma, allo stesso tempo, soffocante e asfittica. Invece ciò che potrebbe togliere dallo stallo dell'indecisione è un atto di rottura rispetto a trame pregresse della propria storia personale, senza tuttavia rigettarne le tracce. Un atto che parli finalmente la lingua inedita del proprio inesplorato desiderio e che possa superare il timore del giudizio o il bisogno di approvazione dell’altro.
Il soggetto che si autorizza a concretizzare le proprie intenzioni in una combinazione tra il familiare e ciò che è strano, ha l'occasione di vedere il mondo in un'ottica nuova e vitale.
Se strutturalmente l'identità è una specie di marchio simbolico che proviene dall’altro familiare (paterno e materno), sociale e culturale, è importante che avvenga anche una sorta di smarcamento da tale discorso.
Scriveva Calvino: “A venti anni la vita è oltre il ponte”. La vita è oltre il perimetro rassicurante di ciò che l’altro ha predisposto per noi, con aspettative, speranze, insegnamenti e testimonianze. La vita è al di là dello spazio sicuro dove la propria identità si è costituita e dove essa è riconosciuta. Occorre potersi affrancare dal nucleo identitario originale, pena la mortificazione della singolarità dell’essere. L’identità è sempre parziale ed è a favore del soggetto, solo se viene costantemente aggiornata, lontana da un’immagine di sé statica e via via da superare.
E’ nei momenti di passaggio più salienti che “io sono questo” ha bisogno di essere ridefinito anche percorrendo la strada delle scelte insondabili.
Fino a che punto il soggetto, immobile davanti alle scelte, subisce l’influenza degli altri? E su quale punto si lascia più influenzare? E, ciò che più conta, qual è la cifra irripetibile del suo essere che non ha identico e neppure ha simili?
L’arroccamento difensivo nell’inibizione offre la sicurezza e la compagnia di ciò che è familiare e conosciuto, solo che in cambio fa soffrire.
Il momento della decisione, invece, è un atto coraggioso di chi si assume il rischio vertiginoso di agire in proprio!
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